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Gruppo Micologico  "T. Pocorobba"

 

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 Pleurotus eryngii var. elaeoselinii (Zervakis, Venturella & La Rocca) -  Funcia di dabbisu

 

PARTE 1^

Generalità sul Genere Pleurotus ed il complesso "eryngii"

1. Premessa

In questa sede, intendo approfondire un noto fungo, afferente al Genere Pleurotus, attualmente incluso in un più ampio complesso di entità specifiche e infraspecifiche, noto alla Micologia come gruppo eryngii, e ben conosciuto dalla tradizione popolare dell’Agro Ericino fin dall’alba dei tempi.
Infatti, proprio qui, nel nostro territorio, le specie contenute nel gruppo eryngii anzidetto sono sempre state e di gran lunga, i funghi più apprezzati in cucina (e, in tempi più recenti, oggetto di una “caccia”, talvolta fin troppo, selvaggia), tanto da essere paragonati, per consistenza e sapidità, alla carne di maiale.
L’accostamento non era del tutto peregrino, laddove si pensi, che la suddetta carne di maiale, ricavata esclusivamente da animali allevati in casa, costituiva, nelle dimore contadine, il massimo elemento di pregio, in una tavola dai pasti necessariamente frugali, scarseggiandovi le vivande elaborate.
Era quindi naturale, utilizzarla quale termine di paragone per misurare la bontà delle cibarie, tanto che si usava dire, per esaltare le eventuali virtù organolettiche di un alimento: “pari carni di porcu”(sembra carne di maiale), considerandola, come detto, una vera e propria leccornia, in grado di dare quel tocco di abbondanza, ad una mensa di norma povera.
Devo ammettere che, non sono mai stato un appassionato ricercatore di Pleurotus, in questo caso intendo proprio quelli che si possono reperire sotto alcune Ombrellifere, tipiche della nostra flora botanica, più per principio che per altro.
Infatti, i funghi, in generale, rappresentano, nella mia personalissima visione, la quint’essenza del bosco.
Cercarli nell’arida steppa mediterranea, fra gli assolati pascoli o in mezzo agli incolti, significherebbe quindi, snaturare la percezione immaginifica, che da sempre ho avuto di questi straordinari figli della Natura, raffigurati nella mia fantasia, come misteriose creature di selve, avviluppate da eteree brume autunnali.
Detto questo, ciò non significa comunque, che non abbia mai tentato di comprenderne gli aspetti più squisitamente ecologici.
Entriamo ora nel mondo di questi miceti, cercando di esporne gli aspetti principali, ed usandoli quali trampolino di lancio per approfondire, in un secondo momento, il discorso sul Pleurotus eryngii var.elaeoselinii, a cui questo pezzo è dedicato.
Il quale, dalle mie parti è meglio conosciuto, con il suggestivo appellativo vernacolare di “funcia di dabbisu”.
E’ questo, forse il meno noto di tutti i Pleurotiannoverati dal folklore locale, ma certamente tra i più interessanti, sotto il profilo Micologico generale. 

2. La tradizione 

Dicevo in premessa, che le entità specifiche e varietali, che più avanti andrò ad elencare, sono note, nell’Agro Ericino (ma anche nel resto della Sicilia), pressochè da sempre, a causa delle loro eccelse qualità organolettiche, tanto da renderli, per le tavole di contadini e pastori, una più che ambita pietanza. 
Per molti, queste prelibatezze, erano conquiste assolutamente fortuite, realizzate da chi, gli fosse toccato in sorte, di imbattersi nella lieta sorpresa delle abbondanti fruttificazioni, che talora questi funghi usano esprimere. 
Parliamo chiaramente di decenni addietro, quando la campagna non era ancora diventata oggetto di sfruttamento agrario intensivo.
Epoche nelle quali, habitat tutto sommato circoscritti, come gli incolti pluriennali, le fasce marginali dei sentieri, gli argini dei canali naturali di deflusso idrico, oltre ad essere parte integrante di quelli creati dall’uomo, erano anche ben lungi dall’essere violentati da nefasti flagelli, quali l’uso irresponsabile di sostanze altamente tossiche, tra cui i famigerati diserbanti (impiegati ormai, senza alcun criterio, ovunque), costituendo degli ambienti vitalissimi. 
D’altra parte, dal punto di vista edafico, nemmeno la struttura chimica dei suoli, conosceva l’aggressione massiccia, di altri fattori inquinanti certamente nocivi, come le piogge acide ad esempio, in grado di stravolgere, nel tempo, l’assetto naturale relativo al pH naturale del terreno, con conseguente scomparsa, o riduzione, di certe specie fungine, una volta molto più diffuse. 
Quindi, dicevo, un tempo, l’incontro con questi funghi, percorrendo i numerosi viottoli rurali, che ricamavano il nostro Agro, rappresentava una possibilità piuttosto concreta. 
Per altri invece, pochi “appassionati” in verità, la raccolta di queste delizie spontanee della terra, era praticata con una certa continuità stagionale. Queste persone infatti, potevano contare sulla conoscenza di specifiche stazioni, ove effettuarne prelievi regolari e per più anni consecutivi.
I suddetti posti buoni, ove nelle stagioni propizie il micelio, spesso differenziava i propri corpi fruttiferi (o basidiomi), erano chiamati, nel nostro dialetto “locari” (termine tuttora utilizzato tra i cercatori nostrani). 
Ogni conoscitore aveva i propri, che nel periodo giusto, ispezionava di frequente e dei quali, custodiva gelosamente il segreto, circa la loro esatta ubicazione.
Simpatica era l’usanza, che l’assiduo fungaiolo, segnalasse, a suo unico beneficio, la scoperta di un nuovo sito di crescita, la cui presenza era denunciata dal tanto agognato cespo di funghi di ferula ancora immaturi (in dialetto a crocchiula di funci di ferla).
Per tale fine, nei pressi del nuovo “locario”, egli si curava, di sistemare appositamente, delle pietre (ad esempio), disposte in maniera particolare, tali da fargli individuare nuovamente il punto, anche da una certa distanza, permettendogli così, di ritornarvi infallibilmente dopo un paio di giorni. 
Inoltre, costui, si preoccupava di occultare il cespo stesso, servendosi di fratte, per celarlo alla vista di eventuali passanti, che potessero “pericolosamente” capitare nei paraggi, appropriandosi indebitamente dell’altrui “tesoro”, meritatamente strappato agli “spiriti del luogo” con così tanta tenacia.
In ultimo, esso, una volta individuato il tanto ambìto “locario”, senz’altro si dedicava ad ispezionarne accuratamente gli immediati dintorni, per sincerarsi se vi fossero pezzi di cuoio, od eventualmente, del ferro arrugginito.
Rispettando la credenza popolare (assurda ed infondata), che voleva questi materiali, quali responsabili principali di una magica contaminazione a danno dei corpi fruttiferi fungini, cresciuti nelle loro strette vicinanze, tanto potente da renderli implacabilmente velenosi mortali.
Nel momento in cui, qualche residuo delle suddette sostanze, fosse stato davvero rintracciato nei dintorni, tutto veniva abbandonato senza rimpianti, marchiando il luogo quale produttore di funghi infetti, divenuti irrimediabilmente velenosi (sic!). 
Quanto al modo di cucinarli, questi erano sostanzialmente tre: arrostiti sulla brace, con sale, olio di oliva e aglio, o fritti in padella sempre con abbondante aglio, oppure a stufato: un sorta ragù, con salsa di pomodoro, aggiunta ad un soffritto in olio di oliva, a base di aglio e cipolla, il tutto condito con sale, pepe, cannella e basilico.
Talvolta, alla ricetta, per abbattere il gusto acidulo del pomodoro stesso, si aggiungeva un cucchiaio di dolcissimo concentrato dei frutti del Fico d’India, ottenuto essiccandone al sole, la passata della loro polpa (l’ormai caduto nel dimenicatoio strattu di ficurini).
A tutto questo si addizionavano i soli funghi, preventivamente spadellati per eliminarne l’acqua di vegetazione. Inoltre se i funghi venivano talvolta reperiti nei mesi di febbraio, marzo e aprile, allo “stufato” veniva aggiunta anche carne di maiale con qualche pezzo di cotenna, oppure salsiccia (sempre di suino), o meglio la famosa sasizza pasqualora
La cottura del sugo avveniva poi a fuoco lento.
La salsa dello “stufato”, veniva usata per condire la pasta che, secondo l’uso del tempo, veniva fatta in casa (in genere gnocculi busiati o frica e lassa). Il tutto rappresentava il pranzo della domenica, o di qualche festività.
Bene, i Pleurotus dei quali ho fatto menzione, nel trapanese erano (e lo sono tutt’ora) così conosciuti:

a.Funcia di pani cauru o di scoddu 
(Pleurotus eryngii var. eryngii);

 

 

 

 

 

 

b. Funcia di ferla 
(Pleurotus eryngii var. ferulae);

 

 

 

 

 

 

c. Funcia di firlazeddu 
(Pleurotus eryngii var. thapsiae);

 

 

 

 

 

 

d. Funcia di dabbisu 
(Pleurotus eryngii var. elaeoselinii).

 

 

 

 

 

Esisteva un altro Pleurotus (non facente parte però del suddetto complesso), assai ricercato e consumato alla stessa stregua dei precedenti, ovvero la: 

e. Funcia di ficurini  (Pleurotus opuntiae).

Un tempo assai più diffusa, almeno nel nostro territorio e ora, assolutamente introvabile. E’ questa una specie che utilizza, quale substrato, i cladodi (pale) di una Cactaceae, quale il fico d’India (Opuntia ficus indica), marcescenti. Tuttavia in questa sede, essa non verrà presa in considerazione, esulando dall’oggetto di questo scritto. 

3. Inquadramento tassonomico del Genere Pleurotus 

Prima di procedere alla sommaria caratterizzazione del Genere Pleurotus, ambito nel quale è inserita l’entità che costituisce l’argomento del presente elaborato, ne fornisco il necessario inquadramento tassonomico, che risulta essere il seguente (secondo Hawksworth et alt. 1995):
REGNO Fungi (organismi eterotrofi il cui tallo filamentoso è costituito da ife);
DIVISIONE Basidiomycota (funghi differenzianti spore esogene);
CLASSE Basidiomycetes (micelio differenziante corpi fruttiferi visibili con imenio formato da basidi);
SOTTOCLASSE Holobasidiomycetidae (imenio costituito da basidi monocellulari);
ORDINE Poriales;
FAMIGLIA Lentinaceae;
GENERE Pleurotus.

 

4. Il Genere Pleurotus (Fries) Kummer 1871

Comprende specie eterotalliche e tetrapolari (ossia munite di quattro distinte polarità sessuali), essenzialmente xilofaghe (quindi in grado di degradare substrati lignocellulosici, ove con tale epiteto sono da intendersi quei materiali costituiti eminentemente, da tre biopolimeri quali la cellulosa, le emicellulose e la lignina) sia francamente truncicole che apparentemente terricole (in realtà su residui morti o, più frequentemente, su radici secche di diverse Apiaceae -Umbelliferae-), talune parassite, ma nella gran parte dei casi, essenzialmente saprobe.a. Le specie comprese nel Genere Pleurotus, seguendo quanto enunciato da A.F.M. Reijnders (1963) sull’ontogenesi delle strutture riproduttive, differenziano sporofori, a sviluppo gimnocarpico (ovvero con imenio esposto immediatamente all’aria, e quindi privi di tegumenti protettivi), pur essendo dotati, in qualche raro caso, di un velo fugace a protezione dell’imenoforo, originato da angiocarpia secondaria e, nella fattispecie, da una struttura ifale a evoluzione stipitoangiocarpica (ossia con il velo a protezione dell’imenio, originantesi dallo stipite), quali il Pleurotus dryinus e il Pleurotus calyptratus. b. Sono caratterizzati da basidiomi di taglia piccola, media o grande, a crescita spiccatamente gregaria e spesso cespitosa e con trama omogenea (continuità strutturale fra ife pileiche e stipitali). c. I basidiomi sono generalmente di consistenza soda ed elastica nel cappello o pileo, tenace e fibrosa nel gambo o stipite.d. Il cappello o pileo presenta una superficie più o meno regolare, con un’evoluzione che da piano-convessa arriva a piano-depressa fino a divenire, in qualche caso, infudibuliforme, oppure a conchiglia, con pellicola pileica appena tomentosa, fibrillosa o liscia, opaca oppure lucida, di colore variabile dal bianco, al giallo, al bruno più o meno chiaro fino al grigio, all’azzurro e in qualche caso anche al nero.e. Il comparto imenoforale, è costituito da lame lungamente decorrenti sul gambo, interpolate da lamellule.f. Il gambo o stipite talvolta è centrale, tuttavia più soventemente è eccentrico, ma anche laterale, quando non totalmente assente (spororofori sessili); comunque, ove presente, è di norma tozzo e abbastanza robusto. g. In generale tutte le specie contenute nel Genere Pleurotus, presenti in Italia, manifestano odore gradevole e sapore dolce con trama interna priva di viraggi. h. Il Genere Pleurotus, è costituito, da specie con basidiomi a deposito sporale di colore bianco o bianco crema, appartenenti quindi alla categoria sporo-cromatica dei leucosporei. i. Le spore, delle specie accorpate nel GenerePleurotus, hanno forma più o meno cilindrica con pareti lisce, quindi prive di ornamentazioni, sono inamiloidi (cioè indifferenti al reattivo di Melzer) ed acianofile (la parete sporale non si colora di blu con il blu cotone).l. La trama delle lamelle è irregolare, sul filo delle lame sono presenti dei cistidi (cheilocistidi). m. Le ife che formano lo sporoforo, presentano giunti a fibbia, assai evidenti. n. Il Genere Pleurotus non annovera, almeno nella flora europea, specie tossiche o velenose.

 

 5. Il Complesso o gruppo eryngii

Al Genere Pleurotus, pocanzi descritto, appartiene, come già accennato, il cosiddetto “gruppo eryngii” il quale costituisce un vero e proprio complesso che, almeno attualmente, include entità specifiche ed infraspecifiche, che hanno come riferimento il seguente taxon:  Pleurotus eryngii var. eryngii (D.C.) Quélet.


Attorno ad esso, fulcrano delle varietà, assai difficilmente separabili con certezza le une dalle altre, ove ci si volesse affidare a salienti qualità discriminatorie ben fissate.
A cominciare dall’habitus morfo-cromatico il quale, ancorchè investito di una certa variabilità (piuttosto ristretta a dire il vero), essa è tale che, le sue possibili oscillazioni, sono parimenti comuni ad alcune di codeste entità (cfr. Pleurotus eryngii var.eryngiiP. eryngii var. ferulae e P. eryngii var.thapsiae).
Perfino i quadri microscopici, relativi alla struttura cuticolare (pileipellis), ai basidi (nelle forme e nei dimensionamenti), ai cheilocistidi (cistidi posti sul filo delle lamelle) e le medie relative alle misure sporali sono chiaramente allineabili.
Quindi, in verità, si potrebbe senz’altro ritenere, che la pressochè totale sovrapponibilità, sia dei dati cromo-morfologici, che degli elementi microscopici, sottenderebbe più che altro, una semplice differenziazione, sostanziabile solo nella diversa specializzazione nei confronti di talune essenza vegetali ospiti, con le quali sembrerebbero contrarre un “legame” più o meno preferenziale. Nel dettaglio, esse sono:b. Pleurotus eryngii var. ferulae (Lanzi) Saccardo;c. Pleurotus eryngii var. thapsiae Venturella, Zervakis & Saitta;d. Pleurotus eryngii var. elaeoselinii Venturella, Zervakis & La Rocca.Assai prossimo al “gruppo eryngii”, esiste in Sicilia un altro taxon, alquanto interessante: Pleurotus nebrodensis (Inzenga) Quélet. 
Originariamente, questa specie venne istituita dal grande Prof. Inzenga uno dei più insigni micologi siciliani di sempre, che così volle chiamare questa specie, data la sua esclusiva presenza sulle Madonie (in quel periodo considerate quali parte integrante della catena montuosa dei Nebrodi e così conosciute).
In tempi relativamente recenti, la posizione di P. nebrodensis venne ridimensionata, sostenendo che non possedesse prerogative tali da indurre ad avallarne lo status di entità autonoma, quindi venne considerata, per tutto questo tempo, un’ulteriore taxon infraspecifico, legato sempre al P. eryngii, e noto quale var. nebrodensis.
Infine, qualche anno addietro, a seguito di approfonditi indagini in microscopia ottica e dopo attenti studi biomolecolari (del quale si darà conto nella 2ª Parte di questo contributo), ne venne sciolta la subordinazione al P. eryngii già detto, dal Prof. Giuseppe Venturella, il quale nel 2000, provvedendone alla tipificazione, elevò nuovamente al rango di specie l’antico taxon dell’Inzenga, restituendogli la primigenia dignità tassonomica.
In ultima analisi, si tratta della famosa Funcia di basiliscu, da sempre conosciuta ed apprezzata nella zona del palermitano per le pregevoli qualità organolettiche. 
Il P. nebrodendis sembrerebbe, trovarsi come già detto in Sicilia, soltanto sulle Madonie oltre i 1.000 metri di quota, in unione selettiva con un altra ombrellifera, conosciuta nel luogo proprio comebasiliscu, da cui il vernacolo.
Resta da chiarire definitivamente, l’incerta posizione di un altro Pleurotus, per troppo tempo identificato, presumibilemente in modo erroneo, con il Pleurotus nebrodensis (tesi fermamente sostenuta dal Dott. Roberto Galli, in diversi colloqui avuti col sottoscritto), ovvero il “Fungo di Bellamonte” (Fong de la mongaiola). E’ questo un altro Pleurotus, di sicuro riconducibile al gruppo eryngii, ma rintracciabile sulle Alpi e più precisamente in circoscritte zone di montagna, di cui Bellamonte è la più famosa.

6. Analisi sommaria dei caratteri morfo-cromatici ed ecologici dei taxa
Analizziamo adesso, anche se piuttosto sinteticamente, i quadri relativi agli aspetti morfocromatici di ciascuna entità, fornendo poi, per ogni taxon, lo spettro dei “partners” vegetali con i quali tali funghi sono generalmente associati, sia in Sicilia che nel meridione d’Italia, costituendo quindi, come già ribadito, l’importante dato ecologico, che ne consente, nella maggior parte dei casi, la discriminazione. Momentaneamente, dal contesto, sarà tenuta fuori la var. elaeoselinii, la quale essendo il vero tema del presente articolo, verrà ampiamente discussa a parte.

a. Descrizione sommaria dei caratteri morfo-cromatici

(1)Pleurotus eryngii var. eryngii

• Crescita singola o gregaria, o sub cespitosa.
• Cappello: da pochi fino a 13-15 centimetri (ed oltre), da piano convesso a piano depresso; cuticola asciutta, per lo più tomentosa ma anche liscia, fibrillato-innata, di colore grigiastro-bruno fino a bruno scuro; orlo irregolare, inflesso e margine involuto quasi mai disteso completamente.
• Imenoforo: lamelle mediamente distanti, intercalate da lamellule e decorrenti sul gambo; di colore biancastro con riflesso grigiastro-carnicino a maturità.
• Stipite: da cilindrico ad attenuato-radicante; talvolta concentrico al cappello, eccentrico o anche laterale con superficie di colore biancastra, o bianco beige, fibrillato-striata.
• Carne di consistenza quasi dura poi elastica, priva di viraggio.
• Odore acidulo con nota aromatica non ben definibile.
• Sapore dolce e gradevole.

(2)Pleurotus eryngii var. ferulae

• Crescita anche singola, gregaria o cespitosa.
• Cappello: da pochi centimetri fino a 18-20 centimetri (e anche ben oltre), da piano convesso a piano depresso, fino a imbutiforme, talvolta flabellato o a conchiglia; cuticola asciutta, tomentosa o liscia, fibrillato-innata, di colore variabile, da biancastro a giallo ocraceo, grigiastro-bruno, bruno chiaro o bruno scuro, una volta con rivestimento pileico vistosamente tomentoso-feltroso di color nero fuligginoso, assai simile, come caratteristiche, alla copertura pileica riscontrabile in certi aspetti di Tricholoma gausapatum (esperienza diretta del sottoscritto), orlo irregolare, sempre inflesso, margine involuto quasi mai completamente disteso.
• Imenoforo: lamelle mediamente distanti, intercalate da lamellule, decorrenti sul gambo; di colore bianco-grigiastro con riflesso carnicino a maturità.
• Stipite: cilindrico, attenuato-radicante, anche obeso o concresciuto a stipiti di altri basidiomi; concentrico al cappello, spesso eccentrico o anche laterale con superficie di colore biancastro, bianco-grigiastro o bianco-beige, fibrillato-striata.
• Carne di consistenza quasi dura poi elastica, priva di viraggio.
• odore acidulo con nota aromatica non ben definibile.
• Sapore dolce e gradevole.

(3) Pleurotus eryngii var. thapsiae

Per onestà debbo dire che non ho mai avuto l’opportunità, di vedere dal vivo questa varietà del P. eryngii, pur avendone sempre sentito parlare, specialmente nella zona di Custonaci (piccolo comune dell’Agro Ericino, famoso per le sue cave di marmo pregiato), malgrado i nostri incolti, siano ricchissimi della specie botanica con la quale tale fungo si aggrega. Motivo per cui, la succinta descrizione che ne ho fatto, l’ho desunta dal testo redatto dal Micologo Nicola Amalfi (il quale mi ha autorizzato a farne uso) De Pleurotus eryngii la cui scheda inerente alla varietà sopra detta, si trova a Pag. 18.
• Crescita anche singola, gregaria o sub-cespitosa.
• Cappello: da pochi fino a 16 centimetri, da piano convesso a piano depresso; cuticola asciutta, tomentosa, fibrillata, di colore variabile, da biancastro a beige chiaro, anche beige scuro o seppia mediamente scuro, orlo inflesso e margine involuto a lungo.
• Imenoforo: lamelle mediamente distanti, intercalate da lamellule, decorrenti sul gambo; di colore biancastro tendenti al bianco grigio o bianco beige.
• Stipite, corto cilindrico, obeso, rugoso o leggermente feltrato.
• Carne di consistenza quasi dura poi spugnosa e leggera, priva di viraggio.
• Odore erbaceo gradevole.
• Sapore dolce e gradevole.

(4) Pleurotus nebrodensis

Non essendo specie tradizionalmente raccolta nel trapanese, data la sua completa assenza in questo territorio, tale Pleuroto, non sarà contemplato nel seguente scritto, se non solo come accenno e per amore di completezza. Morfologicamente è una sorta di Pleurotus eryngii var. ferulae, quindi con basidiomi dall’aspetto tarchiato con cuticola pileica sempre biancastra e screpolato-areolata sia precocemente, con tempo secco e ventoso, che a raggiunta maturità; ha gambo tozzo, sovente obeso e molto robusto con lamelle decorrenti e frequentemente forcate anostomosate sul gambo, con odore gradevole, acidulo, misto a una nota aromatica non ben definibile e sapore dolce.

b. Caratteri ecologici
(Habitat tipico del complesso Eryngii - foto di Andrea Vulpetti)
Come già più volte espresso in precedenza, il fattore di discrimine più eclatante e sicuro, per operare il riconoscimento o la determinazione certa dei vari taxa, correlati al complesso eryngii, è senz’altro quello ecologico. Rimanendo, come si può evincere da quanto appena esposto, poco attendibile una loro differenziazione basata sui soli riferimenti somatici, vista la strettissima somiglianza morfo-cromatica, delle entità pocanzi descritte.
E, per le stesse ragioni, nemmeno potrebbe aiutare più di tanto, un’analisi microscopica completa dei loro corpi fruttiferi, dal momento che anche l’indagine istologica e citologica ne proporrebbe dei prospetti pressochè analoghi. 
Soltanto il Pleurotus eryngii var. elaeoselinii ed ilPleurotus nebrodensis, manifestano differenze macroscopiche non solo ben definite ed apprezzabili, anche di primo acchito, ma assolutamente stabili e di una certa rilevanza, rispetto al resto della compagine eryngii s.l. (detto per inciso, il P. nebrodensis, è separabile da tutto il resto del gruppo anche per evidenti caratteri microscopici, disomogenei rispetto a tutti gli altri basidiomi del succitato “clan” eryngii).
Tuttavia, gli sporofori di entrambi questi ultimi taxa, pur differendo abbastanza nitidamente dagli altri, manifestano, fra di essi, notevoli somiglianze morfo-cromatiche. 
Ma, le essenze vegetali ospiti, dalle quali i talli vegetativi dei suddetti funghi dipendono, costituendone la fonte primaria dalla quale attingere le sostanze nutritive necessarie alla loro vita, non sono le stesse. Inoltre hanno, come appena detto, profili microscopici ben diversificati.
Entriamo ora nel merito e vediamo più da vicino quale siano le specie botaniche con le quali questi funghi si trovano in compagnia, almeno nella zona del trapanese:

(1) Pleurotus eryngii var. eryngii  (Funcia di panicauru)Famiglia Apiaceae (Umbelliferae)


Eryngium campestre
Calcatreppola - (Pani cauru)

 

 

 


Eryngium maritimum 
Calcatreppola marina

Famiglia Asteraceae (Compositae)

 

 



Scolymus hispanicus  Cardo - (scoddu)

 

 

 

 

Scolymus grandiflora 

Cardo - (scoddu)

 

 

 

(2) Pleurotus eryngii var. ferulae  (Funcia di ferla)Famiglia Apiaceae (Umbelliferae)
Ferula communis Ferula comune - (ferla)

 

 

 

 

 

 

Foeniculum vulgaris 

Finocchio selvatico - (finucchieddu sarvaggiu)

 

 

(3) Pleurotus eryngii var. thapsiae 

(Funcia di firlazzeddu) Famiglia Apiaceae (Umbelliferae)

 

Thapsia garganica Tapsia - (firlazzeddu)

 

 

 Cito, in questa sede, il rapporto univoco che il Pleurotus nebrodensis (Funcia di basiliscu) intrattiene con un’altra Apiaceae (Umbelliferare), ossia Cachris ferulacea (basiliscu), un basso arbusto, che si trova in Sicilia solo sulle Madonie, oltre i 1.000 mt. di quota e fino ai 2.000 mt. circa.Rimane il misterioso Fungo di Bellamonte, rintracciabile in vari distretti alpini a quote, anche in questo caso, superiori ai 1.400/1.500 mt, in assortimento con Apiaceae (Umbelliferae), qualiLaserpitium latifolium Laserpitium siler. Resta da verificare seriamente, se quest’ultimo taxon, corrisponda a quelli rinvenuti a quanto pare, anche nella Puglia Garganica (Rivista “I funghi dove...quando n° 12), ma ivi trovati in compagnia questa volta, di una ulteriore Asteracea(Compositae) quale Tragopogon porrifolius (barba di becco).Dalla letteratura specialistica, inoltre, si ravvisa, che queste entità (o presunte tali) gravitanti all’interno del complesso eryngii, possono trovarsi, in unione ad altre ombrellifere quali Ferula tingitana (Pleurotus ferulae var. tingitanus?) o di altre essenze ad esse appartenenti con riferimento ai Generi Ferulago ,Diplotaenia e Opopanax.Per completezza, al fine di esporre, quanto più compiutamente, le possibilità colonizzatrici possedute dai Pleurotus delle ombrellifere, mi corre l’obbligo di citare un’opera tra le più fondamentali per chi volesse studiare la complessa micoflora mediterranea (forse a tutt’oggi non ancora profondamente indagata). Mi riferisco alla famosissima “Flore des Champignons superieurs du Maroc” l’importante opera dei micologi transalpini G. Malençon e R. Bertault che nel 2° tomo, fanno un’ampia disamina dei Pleurotus raccolti e studiati nel nord-Africa.

A tal proposito, nei riguardi del Pleurotus eryngiivar. ferulae, oltre che a rilevarne la presenza in località di cui danno conto (Tanger, Rabat, Casablanca, Meknnès, Fès, Dayète er Roumi, Azrou, Ifrane, Taza, Oujda, Bou Arfa, Figuig, Tahanaoute, Asni et, sur le littoral SW, très au-dessous d’Agadir jusqu’à l’embouchure de l’oud Massa) ne indicano anche le grandi Ombrellifere con cui questa varietà vi si accompagnano che oltre alla Ferula communiscomprendono Ferula CossonianaThapsia garganica ssp. decussata Thapsia villosa(Pleurotus eryngii var. thapsiae?). 
In Algeria sempre ne rilevano la presenza oltre che su Ferula communis, anche su Ferula verceritensis,Ferula longipesKudmanniaThapsia decussatae Thapsia villosa (anche qui forse Pleurotus eryngii var. thapsiae?).
L’areale di distribuzione di tali funghi è davvero molto vasto, tanto che nell’emisfero boreale, esso si estende dalle coste Atlantiche del Marocco e della Francia, all’Europa centrale e dall’Africa magrebina nella fascia costiera e quindi nord-sahariana fino all’India.
Toccando zone climatiche che variano dal comparto mediterraneo, a contesti più squisitamente continentali e dagli orizzonti planiziari, fino a quelli espressamente montani.
Il complesso eryngii s.l. appare quindi costituito da entità ruderali, reperibili sia nei prati xerici o nelle aride garighe mediterranee, che negli igrofili pascoli di montagna. 

7. Accenni sulla fenologia del complesso eryngii

Partiamo da una certezza: la stesura di un calendario con indicati i periodi precisi di fruttificazione relativamente a questi funghi superiori, è purtroppo (o per fortuna) impossibile.
Troppe sono le variabili che influenzano lo stimolo riproduttivo di questi organismi, la maggioranza delle quali, purtroppo ancora del tutto sconosciute.
Tuttavia per esperienza diretta o per dati acquisiti da altre fonti, si può, entro ragionevoli margini di approssimazione, affermare che quasi tutte le entità circoscritte al gruppo eryngii, possono esprimere ben due fruttificazioni annue: 
- una autunnale;
- una primaverile.
Taluni taxa hanno propensione a prediligere, per le proprie esigenze di riproduzione, l’autunno, non disdegnando in seconda battuta, i primi tepori primaverili, anche se in misura più contenuta.
Al contrario, altre entità che prediligono il periodo primaverile, fanno comunque una possibile comparsa autunnale.
Espongo ora caso per caso, con le dovute cautele che l’argomento impone, i periodi riproduttivi di massima, ribadendo che si tratta di dati assolutamente indicativi e che non hanno alcuna pretesa di essere assoluti, giocando in tal senso un ruolo preponderante, sia l’altitudine che, in maniera più ampia, la latitudine senza dimenticare le condizioni climatiche stagionali:a. Pleurotus eryngii var. eryngii: si tratta di specie mesofila; il periodo riproduttivo di questo taxon va da ottobre a novembre fino a dicembre. Dal punto di vista dell’umidità necessaria alla fase riproduttiva, questo taxon esige un buon apporto idrico, quindi abbisogna di un abbondante quantitativo di precipitazioni piovose. Tutto questo in zona mediterranea e dal livello del mare fino alla media collina, ma in zone interne e a clima diverso, o a quote più elevate, nulla toglie che questa specie possa avviare un momento riproduttivo in primavera, o anticiparlo al primo autunno.b. Pleurous eryngii var. ferula: siamo in presenza anche in questi casi di entità mesofila per la quale vale lo stesso discorso fatto pocanzi per il Pleurotus eryngii var. eryngii, infatti anche in questo caso, per la differenziazione di basidiomi, il tallo miceliare abbisogna di un sensibile apporto idrico. Quanto ai periodi di emissione delle strutture atte alla riproduzione, ricalcano quelle esposte per il caso precedente, con un prolungamento primaverile in annate particolarmente favorevoli.c. Pleurotus eryngii var. thapsiae: è questa un’entità termo-mesofila che gradisce più il periodo primaverile rispetto all’autunno, quest’ultima opzione tuttavia da non escludere in modo assoluto.d. Pleurotus nebrodensis: forse a causa dell’elevata quota nella quale tale Pleuroto è reperibile, che ricordo oscillare dai 1.000 mt , fino ai 2.000 circa, il periodo riproduttivo di questa specie è espressamente tardo primaverile, ovvero da maggio a giugno. e. Del Pleurotus eryngii var. elaeoselinii si parlerà, relativamente a questo ultimo aspetto, nella parte ad esso esclusivamente dedicata.
Si conclude qui la 1ª parte di questo lungo discorso sui Pleurotus ed in particolar modo su quelli che si trovano in compagnia delle Ombrellifere.La 2ª parte tratterà esclusivamente il Pleurotus eryngii var. elaeoselinii, e quivi cercherò di approfondirne gli aspetti morfologici, organolettici, macrochimici e microscopici, descrivendo l’essenza vegetale con la quale vive, cercando di sviluppare il discorso sul legame trofico, che il fungo stabilisce nei confronti dell’ospite vegetale.
La bibliografia consultata per la redazione di questo elaborato, sarà fornita nella 2ª parte di questo lavoro, dal titolo:Pleurotus eryngii var. elaeoselinii Zervakis, Venturella & La Rocca 
Funcia di dabbisuPARTE 2ª
Pleurotus eryngii var. elaeoselinii s. s.Grazie per l’attenzione e alla prossima


Nino Mannina

Copyright:
Il testo di questa monografia appartiene all'autore: Nino Mannina. Le foto della flora e dei funghi senza nome sono di Nino Giacalone. E' vietato qualsiasi uso del testo e delle immagini inseriti in questa monografia senza l'autorizzazione esplicita degli interessati.

Ringraziamenti
Rivolgo i miei più sentiti ringraziamenti ai Signori:Andrea Buda, a cui va un grazie speciale. Egli, al momento presente, per la serietà dei suoi studi e dei suoi brillanti lavori, per la competenza tecnica e la profondità scientifica innumerevoli volte dimostrate, rappresenta a mio modestissimo avviso la vetta fra tutti gli studiosi di Micologia che la Sicilia al momento possa esprime, oltre ad essere certamente, il più grande esperto in Pleurotus delle ombrellifere attualmente esistente sia in Sicilia che nel resto del suolo italico, affermazioni che posso fare senza tema di essere smentito da chicchessia. Un grazie anche per avermi sciolto ogni dubbio sull’ontogenesi dei basidiomi dei Pleurotus, per avermi dato alcune delucidazioni essenziali (sulle quali nutrivo dei dubbi) sulle dinamiche trofiche del Pleurotus eryngii var. elaeoselinii e per la fiducia accordatami, tanto da avermi messo a disposizione i suoi preziosi studi macromorfologici e microscopici relativi all’anzidetto taxon. Andrea Vulpetti, sempre a disposizione per accontentarmi nelle mie richieste, a volte anche capricciose, per avermi messo a disposizione la foto dell’habitat dove questa varietà si può rinvenire, da lui scattate.Nicola Amalfi, per avermi concesso, le foto di sua proprietà inerenti al Pleurotus eryngii var. eryngii e al Pleurotus eryngii var. thapsiae, che corredano il presente contributo, e per avermi gentilmente autorizzato a utilizzare la descrizione di quest’ultima entità, tratta dal suo elaborato “De Pleurotus eryngii”Nino “Il Colonnello” Giacalone, al quale dico di essere onorato di appartenere al Gruppo Micologico da lui Presieduto, e di non avere parole per ringraziarlo per mettermi a disposizione le capacità editoriali che possiede, tali da consentirgli di rendere gradevoli i miei contributi, per l’impostazione grafica, che sa impareggiabilmente conferirgli e per la sconfinata pazienza che dimostra nei mie confronti. Lo ringrazio anche per tutte le foto della flora e dei Pleurotus eryngi var. ferulae ed elaeoselini del suo archivio privato, che gentilmente mi ha concesso per completare questa prima parte del mio lavoro.Al Dott. Roberto Galli, che conosco ormai da tanti anni e che più volte mi ha concesso la fiducia di pubblicare i miei scritti, a cui, nel caso specifico, rivolgo la mia gratitudine per le interessanti conversazioni avute con il sottoscritto, in special modo in merito al fungo di Bellamonte, e per alcune disquisizioni sull’attribuzione al rango infraspecifico di varietà che al Pleurotus eryngii var. elaeoselinii spetta di diritto.