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Gruppo Micologico  "T. Pocorobba"

Al compianto e indimenticato Amico Tonino Pocorobba, al quale spero di non aver mai infangato la memoria, con il mio operato.

Psathyrella melanthina (Fries) Kits van Waveren, rinvenuta a Valderice (TP) su Opuntia ficus-indica




Foto 1. Psathyrella melanthina, si noti a sinistra il tronco secco dell'Opuntia ficus-indica. (Foto di Nino Mannina)


Autore del contributo Nino Mannina
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In Appendice: “I Funghi nella tradizione popolare dell’Agro Ericino”,“Il mistero dei funci di ficurini”

1.Introduzione

Tramite il presente contributo, intendo illustrare, con un’adeguata descrizione cromo-morfologica e microscopica, gli sporofori relativi alla specie Psathyrella melanthina (Fr.) Kits van Waveren 1985, rinvenuti nel territorio di Valderice (TP), il 16.11.2012, il cui tallo miceliare insisteva su residui interrati e tronchi secchi diOpuntia ficus-indica (fico d’India).
Attesochè, il taxon in esame, è sicuramente ben conosciuto e, la sua presenza più volte segnalata anche nel nostro suolo nazionale, a mezzo di documentati ritrovamenti, quindi non avendo la pretesa di dire alcunchè di nuovo in proposito, per non di meno, ne trarrò ugualmente spunto, per esporre i motivi che mi hanno persuaso a redigere il presente elaborato.
Il primo dei quali, è rimarcare l’ipotesi di una continuità, non solo sotto il profilo botanico, ma anche micologico, fra il nord-Africa e la Sicilia occidentale (continuità che, presumibilmente, comprenderebbe anche la fascia costiera meridionale dell’isola fino al suo vertice sud-orientale).
Il secondo (evidenziando al tempo stesso l’adattabilità trofica posseduta dal taxon in esame), quale importante testimonianza a favore del punto precedente, in virtù della presenza nell’Agro Ericino, di questa specie associata al Fico d’India, del pari a quanto descritto per le stazioni nord-africane.
A conforto di quanto opinato nei suddetti punti, comparerò gli esami relativi a tale ritrovamento con i risultati degli studi compiuti dagli Autori Francesi Malençon & Bertault, esposti sul 1° tomo della loro famosissima Opera “Flore des Champignons Superieurs Du Maroc”, a riguardo di Drosophila melanthina, sinonimo dell’entità specifica qui presentata, reperita precisamente in Marocco ed in Algeria, sulla succitata Cactaceae.
Terzo ed ultimo motivo, e personalmente mi pare il momento più importante del seguente lavoro, sono infine riuscito, in modo del tutto inaspettato e casuale, dopo anni di infruttuose ricerche e congetture senza costrutto, a dare un nome al volto misterioso dell’altra entità, conosciuta dal vernacolo locale come “funcia di ficurini”. Quindi ora, dopo aver risolto la sciarada, posso rivelarne il risultato all’eventuale lettore del pezzo, che potrà così fruire di un ampio resoconto sui fatti, in Appendice (il mistero dei Funci di ficurini.)


2. Materiali e metodi utilizzati

Per l’indagine microscopica effettuata sugli sporofori appartenenti alla specie in argomentazione, che hanno coinvolto lo studio dellapileipellis, del velo, della trama delle lamelle, dei basidi, deicheilocistidi, dei caulocistidi e delle spore, è stato adoperato il Microscopio trinoculare Zeiss Primo Star con oculari 10x, micrometro e obiettivi planacromatici 4x-10x- 40x e 100x ad immersione.
Per l’osservazione dei preparati montati sui vetrini, è stata utilizzata in massima parte soltanto acqua. Laddove è parso necessario colorare il reperto, si è ricorso al verde malachite o alrosso congo in H2O.
Sia le descrizioni dei caratteri cromo-morfologici e organolettici, che i parametri biometrici e microstrutturali, sono stati desunti da ricognizioni dettagliate, effettuate immediatamente dopo il prelievo in situ, di sporofori freschissimi. Adoperando quindi all’uopo, carposomi appena prelevati dalla stazione di crescita (operazione d’altra parte assai agevole, dal momento che questa si trovava a pochi decine di metri dall’abitazione dello scrivente) e quindi senza la minima necessità di ricorrere ad exiccata. L’approfondimento dei suddetti caratteri microscopici, più in dettaglio, ha riguardato:

a. lo studio della qualità e della topografia del pigmento cuticolare, compiuto osservando il vetrino, montato in acqua semplice;

b. l’osservazione della struttura degli ifenchimi epicuticolari, studiata esaminando lembi di cuticola, prelevando il cosiddetto “scalpo” e, soprattutto, visionando il rivestimento pileicoeseguendone delle sezioni radiali, montando poi il vetrino sia in H2O, che colorando il preparato con rosso congo solubilizzato in acqua distillata;

c. l’osservazione delle strutture relative alla compagine velare e alla trama lamellare, investigate sia in acqua semplice, che colorando il preparato con rosso congo sciolto in acqua distilata;

d. l’osservazione di basidi, cheilocistidi e caulocistidi, effettuata prelevando sezioni dell’imenio e della caulocute e montando i vetrini in acqua distillata o colorando il preparato con verde malachite oppure con rosso congo sciolto in acqua distillata;

e. l’osservazione delle spore, effettuata prelevandole dal deposito della massa sporale ottenuta direttamente dalla sporulazione dei basidiomi e montando il vetrino in H2O.
Gli exiccata relativi alla specie discussa in questo ambito, sono custoditi nella sede del Gruppo Micologico “Tonino Pocorobba”, ubicata in Valderice (Trapani) presso i locali della ex Scuola elementare di Sant’Andrea, Via C. Colombo n° 1. Indirizzo E-mail del Gruppo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.


3. Posizione Tassonomica di Psathyrella melanthina
(da Hawksworth & Alter 1995)

Regno: Fungi
Divisione: Basidiomykota
Classe: Basidiomycetes
Ordine: Agaricales
Famiglia: Coprinaceae
Genere: Psathyrella
specie: melanthina


4. Quadro delle sinonimie

Geophila melanthinum (Fr.) Quél. 1886
Hypholoma melanthinum (Fr.) P. Karst. 1879
Drosophila melanthina (Fr.) Kühn. & Romagn. 1953
Psathyrella melanthina (Fr.) Romagn. 1982
Hypholoma agaves Maire 1928
Psathyra agaves (Maire) Singer 1947
Psathyrella agaves (Maire) Konrad & Maubl. 1948


5. Psathyrella melanthina (Fries) Kits van Waveren 1985


Foto 2: Psathyrella melanthina (Foto di Nino Mannina)

a. Caratteri ecologici

Habitat ove sono state reperite le raccolte illustrate: residui interrati marcescenti e tronchi secchi di Opuntia ficus- indica (fico d’india).

b. Caratteri cromo-morfologici

(1) Crescita: strettamente gregaria o appressata, con sporofori solinghi addossati gli uni agli altri, mescolati a cespi composti di due fino a tre, quattro basidiomi, fascicolati e in diversi stadi di crescita.

(2) Aspetto: carposomi dall’habitus Pluteoide (ossia con aspetto di Pluteus), in genere di taglia media (grandi e massicci, se paragonati all’esile complessione presentata dai basidiomi relativi a gran parte delle specie afferenti al Genere Psathyrella), da tozzi a più o meno slanciati.

(3) Cappello o Pileo: a perimetro circolare, quindi abbastanza regolare. Di consistenza elastica, presto fragile e cassante ovunque, ma in special modo all’orlo. Le dimensioni oscillanti fra i 6 e gli 11 mm nel primordio, fino ai 50,5-70,5 mm circa (e anche oltre) in esemplari adulti. All’esordio ovoidale o anche parabolico; campanulato, con il progredire della distensione del cappello; successivamente, piano-convesso; quindi completamente pianeggiante, all’occasione piano depresso; talvolta, durante lo sviluppo, nella zona discale, viene delineandosi un umbone, alla fine ben distinto e a guisa di cono dal vertice arrotondato, altrimenti è presente un largo mammellone più o meno evidente. L’orlo è piano o appena ondulato, dapprima unito, poi striato per l’insorgere di corrugamenti perimetrali; eventualmente inciso da qualche fenditura più o meno estesa verso il centro; dapprima vistosamente inflesso, poi via via sempre più disteso, fino a spianarsi del tutto. Margine regolare, sottile e acuto, sovente anche sinuato-lobato; in gioventù ben ripiegato verso il gambo, ed adeso alla caulocute, tramite una struttura velare secondaria; dopo il distacco dalla corteccia stipitale, festonato da residui di velo, tanto fugaci da svanire quasi del tutto lungo il corso del processo maturativo; in ultimo frastagliato e minutamente eroso. Cuticola adnata, subito alquanto stesa, poi rugosa a partire dall’orlo, indi nitidamente corrugata fin quasi al comparto centrale; asciutta; opaca nei periodi secchi; tuttavia igrofana in presenza di pioggia abbondante; al debutto, rivestita sul disco da una feltro lanoso abbastanza denso, precocemente dissociato in minute squamule pubescenti e da sottili fioccosità biancastre, disposte intorno alla fascia orlare, presto obliterate; interamente tomentosa in esemplari ben idratati, con una minuta pubescenza ammassata in ciocche distribuite intorno alla zona peridiscale, più diradate in periferia; oppure appena sub-tomentosa, vistosamente fibrillata in senso radiale e ornata da fini peli riuniti in isolate squamule contornate di bruno, disposte concentricamente lungo la zona marginale o appena oltre, senza comunque arrivare a lambire l’intorno discale. Il colore della cuticola è bruno bistro nel primordio, in appresso schiarita su tonalità marroni più o meno scure, per evolvere e stabilizzarsi verso una cromia grigia bruna o grigia topo; mammellone o umbone, talora più scuri del resto della frazione cuticolare; i cromo-pigmenti, all’acuirsi dell’umidità atmosferica provocata dalla pioggia, a causa di un certo grado di igroscopia cuticolare, si saturano; il fenomeno, subito dopo le precipitazioni, tende a investire tutta la superficie della pellicola pileica. Allo stabilizzarsi delle condizioni meteorologiche, si nota una graduale, ancorchè rapida, regressione dell’evento, con la cute che assume un aspetto a coccarda, con orlo bruno, disco bruno scuro o bruno bistro, con interposta una fascia concentrica grigio bruno chiaro, prima del ripristino della consueta pigmentazione.

(4)Imenoforo: costituito da lamelle fitte, sottili, interpolate da frequentissime lamellule di varia lunghezza; di consistenza elastica, si rivelano tuttavia fragili applicando una pressione digitale appena più vigorosa; non molto alte, un po’ ventricose, il filo eroso, irregolare, sterile, di colore bianco (alla lente decorato da una sorta di minutissima pubescenza, dovuta all’ammasso di cheilocistidi densamente distribuiti lungo tutto il taglio); adnato-arrotondate all’inserzione sul gambo, acute indietro; dapprima di colore argilla chiaro, poi argilla-brunastre sfumate da nouances rosate, più brune in età.

(5)Gambo o Stipite: generalmente sottile, senza tuttavia essere esile, nel primordio persino robusto e tozzo, più slanciato nel maturo; subito di consistenza abbastanza rigida, fibrosa, più fragile in vecchiaia; dapprima alto dagli 8 ai 20 mm, infine circa 50-60 mm, per uno spessore di circa 8 mm. Cilindrico, volentieri unito in basso con altri due o tre sporofori in diversi stadi di crescita; raramente dritto, quasi sempre curvo o persino sinuato, terminante talvolta a bulbillo talaltra con un’espansione mal definita e non sempre ben evidente. All’esordio, al di sotto della zona di contatto con il margine pileico, lo stipite appare coperto da un esteso quanto sottile rivestimento fibrilloso, sub-concolore alla pellicola, dai riflessi sericei, il quale con il proseguire dell’allungamento dell’elemento stipitale, via via si dissocia in bande zebrate o a zig zag sempre più sottili, tuttavia intelligibili anche al termine dello sviluppo, sovrapposte ad una corteccia liscia o al più appena fioccosa. A sviluppo avvenuto, lo stipite, immediatamente al disotto della confluenza con le lamelle, mostra una braccialetto di altezza variabile, ricoperto da una spessa pruina e da sottili, quanto profonde, solcature longitudinali, estese più o meno fino al primo terzo superiore del gambo stesso. La base è, in ogni caso, ricoperta da un manicotto miceliare compatto, finemente feltroso o cotonoso. La superficie stipitale è pigmentata di biancastro, le bande sovrapposte sono invece brunastre o grigine.

(6)Trama: carne nel cappello di consistenza elastica, ma ben presto assai fragile, cassante, sottile, ridotta al solo strato cuticolare nell’area dell’orlo; ben più spessa al centro, intorno al mammellone. Più dura e fibrosa nel gambo, il quale è dapprima pieno, tuttavia piuttosto precocemente fistoloso. Esso, è nettamente estraibile dal contesto pileico, manifestando la decisa eterogeneità della trama, lasciando infatti al centro della pagina inferiore del cappello, la traccia dell’incavo ove trovava alloggio il suo apice terminale; questi, al momento del distacco dalla soprastante struttura, asporterà con se, sia alcuni frammenti dell’imenoforo, che della trama soprastante, il tutto quindi, in maniera similare a come si verifica nei Pluteus. La carne è bianca ed immutabile.

(7)Deposito sporale in saturazione: di colore marrone pallido (nuance desunta dalla tabella sulle tonalità di marrone edita sulWeb: Marrone wikipedia).

c. Caratteri organolettici

(1)Odore: gradevole, acidulo (fungino)
(2)Sapore: dolciastro anche dopo prolungata masticazione e in tutti gli elementi strutturali.

d. Caratteri macrochimici: non rilevati



Foto 3. Particolari cromo-morfologici (Foto di Nino Mannina)




Foto 4. Particolari cromo-morfologici (Foto di Nino Mannina)

e. Caratteri microscopici

(1) Pileipellis: a struttura pseudoparenchimatica, formata da cellule ialine più o meno globulose o largamente poliedriche, di calibro notevole, anche ben oltre i 30 μm, a cui si mescolano, articoli ifali più allungati, ma sempre imponenti. Il tutto, sormontato da un sottile strato di ife filamentose, contigue e sovrapposte, munite di giunti a fibbia ai setti, a decorso orizzontale, tuttavia con tendenza a sollevarsi in ciuffi, con articoli terminali più o meno cilindracei, talvolta subclavati e della larghezza variabile tra i 10 e i 16 μm, ad apice sovente arrotondato, le pareti ben incrostate da un denso pigmento epiparietale, costituito da abbondantissime granulazioni brunastre.

(2) Velo: di ife filamentose subcilindriche con un calibro variabile dai 5 ai 10/12 μm, con giunti a fibbia minuscoli ai setti, a cui si mescolano e intrecciano numerose ife rigonfie catenulate ed elementi sferocistoidi o piriformi di notevole spessore. Pigmento incrostante a granuli bruni o placche rifrangenti, aderenti alle pareti esterne delle suddette ife filamentose.

(3) Spore: da ellittiche a subamigdaliformi, delle dimensioni variabili mediamente dai 9 ai 12 μm x 5,5-6,50 μm; ialine in H2O, a parete sottile, mono o biguttulate per la presenza di gocce oleose, oppure a contenuto rifrangente, con apiculo appena distinto e senza poro germinativo.

(4) Basidi e subimenio: Basidi tetrasporici, clavati, abbastanza tozzi, delle dimensioni medie attorno agli 8-9 μm al ventre (qualcuno misurante anche 12 μm nella sezione più ampia) per un’altezza variabile dai 20 ai 36 μm con sterigmi alti circa 3-4 μm, sorretti da un articolo basale vescicoloso o comunque rigonfio, originati da un subimenio ramoso.

(5) Trama delle lamelle: regolare, costituita da ife rigonfie, a parete sottile, talvolta subvescicolose, catenulate, alle quali si mescolano in parallelo o appena intrecciate ife filamentose esili ad elementi cilindracei provvisti di giunti a fibbia e ife di spessore enorme, il cui diametro nella parte mediana oscilla dai 30 ai 42 μm, tuttavia assottigliate sensibilmente in prossimità degli apici ed ivi palesanti distinti giunti a fibbia.

(6) Cheilocistidi: numerosissimi, in maggioranza utriformi, tuttavia anche clavati o piriformi, delle dimensioni variabili dai 12-17 μm x 50-60 μm, molti dei quali ricoperti all’apice da una sorta di mucosità gialla, talvolta in strato esiguo a guisa di sottilissima velatura aderente alla calotta cistidiale, talaltra invece con uno spessore ben apprezzabile entro il quale sono immersi dei cristalli rifrangenti.

(7) Caulocistidi: simili in forma e dimensioni ai cheilocistidi, tuttavia privi della sostanza mucosa che ricopre il polo superiore di questi ultimi.

(8) Pleurocistidi: assolutamente assenti.


Tavola 1. Micrografia (Disegni realizzati da Nino Mannina)



Tavola 2. Micrografia (Disegni realizzati da Nino Mannina)

Didascalie delle tavole di microscopia
A: schema della Pileipellis non in scala
a’: ifa con pigmento epiparietale in granuli x 1.000
a”: terminali epicutis con incrostazioni in granuli pigmento) x 1.00

B: struttura ifale del velo non in scala
b’: ifa del velo con incrostazioni in granuli x 1.000
b”: ifa del velo con incrostazioni a placche rifrangenti x 1.000
b” bis: giunti a fibbia delle ife del velo

C: spore x 2.000

D: basidi x 1.000
d”:schema del sub imenio non in scala

E: schema trama lamellare non in scala
e’: particolare composizione ife trama lamellare non in scala
e” : giunti a fibbia trama lamellare non in scala

F: cheilocistidi x 1.000

G: caulocistidi x 1.000


6. Corologia di massima

Psathyrella melanthina, quantunque sia specie non così facilmente reperibile, quindi connotata di una certa rarità, è tuttavia abbastanza diffusa in parte dell’emisfero boreale, non solo in Europa, ma travalicandone i confini, anche in nord Africa, il che ne rivela una spiccata propensione all’ubiquitarietà.
In particolare, gli areali ove gravita tale entità specifica, spaziano dalla Scandinavia, alla Francia, alla Spagna, passando per la Bulgaria, investendo anche l’Italia, con una presenza ivi documentata, in distretti a clima squisitamente mediterraneo (comprendendovi ambienti talora estremi come quelli retrodunali). Con una ulteriore espansione, che arriva a includere Malta, l’ovest maghrebino, dei quali il Marocco e l’Algeria sembrano essere i paesi più significativi, giungendo perfino a incunearsi nel Sahel e precisamente in Mauritania.
Per quanto mi è dato sapere, in Sicilia, Psathyrella melanthina, è stata reperita ufficialmente in due distinte stazioni nel Palermitano, ossia a Balestrate loc. Le Canne e a Lascari Loc. Salinelle, nel corso delle ricerche svolte per la redazione dell’opera “La biodiversità fungina della provincia di Palermo (Sicilia)”, a cura di G. Venturella et alter. Tuttavia, non viene dato conto alcuno, del sostrato con cui il taxon era aggregato.


7. Note sull’ecologia

Come tutte le specie afferenti al Genere Psathyrella, si tratta di entità espressamente saprotrofa, dotata di facoltà tali, da porla nelle condizioni di aggredire substrati derivanti da essenze arboree assai assortite, che spaziano dai residui legnosi di taluneSalicaceae quali Populus sp. e Salix sp., di Betulaceae comeBetula pendula, Alnus sp., Carpinus sp., di Tiliaceae quali Tiliussp., di Fagaceae come Quercus cerris ed Oleaceae quali Fraxinus oxycarpa, con possibilità alternative che le consentono di estenderle anche alle parti secche di certa flora eminentemente esotica, riconducibile ad alcune specie espressioni di Cactaceae,Agavaceae ed Arecaceae[/i], delle quali si discuterà in appresso.


[b]8. Comparazioni


Alla luce di quanto fin qui detto, constatata la corretta identificazione della specie, mi accingo adesso a comparare le mie raccolte, con quella descritta, dagli autori francesi citati nell’introduzione.
Nel 1970, G. Malençon e R. Bertault, danno alle stampe il 1° Tomo di un’importantissima Opera in due Volumi (il 2° edito nel 1975), destinata a diventare il fondamento, per tutti quei micologi che studiano il particolare corteggio fungino della Zona Mediterranea, ovvero: “Flore des champignons superieurs du Maroc” (Flora dei funghi superiore del Marocco).
Nel succitato 1° Tomo, viene affrontato l’allora Genere Drosophila(sin. Psathyrella), del quale vengono illustrate, con dovizia di particolari, numerose specie, rinvenute in consorzi botanici sia Marocchini che Algerini, ed in taluni casi anche Tunisini e Libici . Fra queste, compare Drosophila melanthina (Fr.) ss. Künher & Romagnesi.
I due Micologi transalpini ne riportano bene gli habitat di riferimento (trascrivo letteralmente): “Sur troncs morts e décomposés d’Opuntia ficus-indica (L.) Mill., à Ziatene prés Tanger, le 12 janvier 1957.” E ancora: “Répart. A.F.N. (sub. nom.Hypholoma agaves R. Maire), sur Agave americana, A. sisalana,Opuntia ficus-indica, Phoenix dactylifera, Fraxinus oxycarpa.
Ovvero: “Su tronchi morti e decomposti d’Opuntia ficus-indica (L.) Mill. a Ziatene presso Tangeri, il 12 gennaio 1957”.
E poi: “Ripartizione. Africa del Nord (sotto nome di Hypholoma agaves R. Maire) sopra Agave americana, A. sisalana, Opuntia ficus-indica, Phoenix dactylifera, Fraxinus oxycarpa.”
Quindi, l’habitat, costituito da Opuntia ficus-indica, è assolutamente identico, come denunciato sia dal ritrovamento personale nell’est Siculo che nella raccolta descritta da Bertault et Malençon per il Marocco settentrionale.
I due studiosi francesi, inoltre citano a loro volta R. Maire (e la sua descrizione di Hypholma agaves sinonimizzato con D. melanthina), che indica quali ulteriori substrati di rinvenimento oltre alla precedente Cactaceae, due Agavaceae quali Agave americana e Agave sisalana, entità botaniche provenienti dalle Americhe, e che in dialetto locale sono conosciute come “Zabbara”, una Arecaeae quale Phoenix dactylifera, meglio nota come Palma da dattero ed una Oleaceae come Fraxinus oxycarpa, cioè il Frassino meridionale.
Sarebbero auspicabili, a mio modestissimo giudizio, oltre che interessanti per la Sicilia, vista la presenza talora massiccia delle essenze indicate da Maire, ulteriori segnalazioni volte a constatare la comparsa del fungo in contesti simili. Le dimensioni degli sporofori e i caratteri cromo-somatici, inerenti all’entità in oggetto, sono sovrapponibili a quanto desunto dalla scheda riportata sul 1° Tomo della sopra citata Opera. Ma ho notato una sensibile tendenza all’igrofaneità dell’intera superficie pileica, comunque dopo piogge persistenti, che sul testo francese, viene reclusa in tracce solo al margine di tale elemento strutturale, definito marrone se imbevuto, ma non francamente igrofano. Anche i caratteri microscopici rilevati dalle indagini condotte sui ritrovamenti Valdericini, risultano praticamente identici a quelli riscontrati da B. & M. Tuttavia non ho trovato traccia, almeno negli sporofori da me esaminati, di pigmento cuticolare epiparietale formato da incrostazioni zebranti (come si evince dalla micrografia allegata alle descrizione), bensì in granuli disposti per lo più in maniera disordinata e, solo talvolta, parzialmente a spirale. Notevole la presenza di mucosità, anche in rilievo, riscontrabile sulla calotta di molti dei cheilocistidi osservati, come recitato dai Micologi d’oltralpe, ma nella disamina da loro effettuata, non si fa menzione di cristalli rifrangenti immersi in tale sostanza, che invece ho potuto osservare in più casi. L’assenza totale di pleurocistidi e la cromia assai chiara del deposito sporale, certamente atipico per una Psathyrella, le spore ellissoidali o al limite subamigdaliformi, comunque prive di poro germinativo, hanno chiuso positivamente il panorama inerente ai parametri di raffronto, in questa sede esposti.


9. Posizione nello schema Sistematico infragenerico e quadro di raffronto

Nel modello sistematico infragenerico, proposto nel 1985 da Kits van Waveren, è incluso il Sottogenere Psathyra (Fr.) K. van Waveren, comprendente specie munite di velo fugace, spore piccole, di norma non opache, volentieri faseoliformi, basidi clavati non eccedenti i 10 μm, oltre a specie con la superficie pileica fibrillosa.
Nella sua monografia edita nel 1995, dedicata al GenerePsathyrella, F. Fouchier elabora un modello Sistematico infargenerico, che nella Sezione Pseudostropharia A.H. Smith, include Psathyrella melanthyna, P. maculata, P. populina, P. cotonea, P. storea, P. caput-medusae e P. hirtosquamulosa. Le specie più prossime e che possono dare adito ad errate identificazioni, sono P. populina e P. hirtosquamulosa.
Tuttavia P. melanthina appare ben distinta per l’habitat (nel caso specifico di ritrovamento sulle essenze esotiche già enunciate); per la totale mancanza di pleurocistidi, e per le spore non subtriangolariformi. Oltretutto P. melànthina possiede, come del resto già menzionato, una peculiarità, tanto eclatante, da permetterne un’immediata quanto sicura discriminazione: il colore della massa sporale, decisamente unico per le Psathyrella, ovvero marrone pallido, contrariamente agli altra taxa, distinguibili per una cromia sporale sensibilmente più scura (dal bruno al bruno violaceo fino al nero).

APPENDICE

I Funghi dell’Agro Ericino nella tradizione popolare

I funghi, nella tradizione popolare dell’ Agro Ericino, non hanno mai avuto, in generale, un ruolo importante. La loro presenza, nella mensa dei contadini, che comunque li trattavano con diffidenza, costituiva soltanto un’eccezione, un sorta di “fenomeno” puramente occasionale. Con tutta probabilità il folklore locale, certamente per un atavico timore reverenziale, li considerava creature misteriose, dalle quali era consigliabile tenersi alla larga. La scarsità di selve inoltre, precludeva ai nostri avi, la conoscenza di funghi boscherecci, famosi ed apprezzati altrove, fin dal tempo dei tempi. Per tale motivo, la lista delle entità fungine individuate dal dialetto locale, era abbastanza scarna, contemplando soltanto poche specie: funci campagnoli e funci picurini (rispettivamente prataioli - Agaricus sp.- e piccole mazze di tamburo -Macrolepiota sp.-), funci di pagghia, ovvero funghi della paglia, (Volvariella gloiocephala), funci d’aliva (il tossico Omphalotus olearius), Pleurtotus delle ombrellifere quali funci di panicauru o di scoddu, di ferla, di firlazzeddu e di dabbisu, ai quali è stato dato ampio spazio in questo sito, con un esteso servizio, al quale si rimanda per maggiori notizie.
Altre specie erano: funci di chiuppu (Agrocybe aegerita), funghi del pioppo (Populus tremula) ovvero i classici pioppini, funci di carrubba (Laetiporus sulphureus), cioè funghi del carrubo (Ceratonia siliqua), funci di ‘merda noti anche come funci di pignu (Suillus collinitus), ossia funghi del Pino (Pinus sp. pl.), funci di ‘nchiustru o calamari (Coprinus comatus), funghi dell’inchiostro o calamai, funci tabbaccara (Lycoperdon sp. pl.), funghi del tabacco (per via della polvere sporale).
Tuttavia, nel busetano (soprattutto nella Frazione Bruca), comprensorio nel quale insisteva (ed insiste tuttora) il Bosco di Scorace (l’antico toponimo del quale era Bosco di Arcudaci), era nota qualche specie in più, rispetto al circostante territorio, di certo a causa della contiguità con l’antico comparto silvano. Vi si faceva menzione dei: funci di suvaru, cioè funghi della sughera (Armillaria sp.), funci di rusedda, ovvero funghi del cisto (Leccinum corsicum) e funci di zasa, cioè funghi dello Gnidio (Daphne gnidium), pur non avendo ancora capito bene, quale sia il taxon fungino relazionato a tale arbusto. Posso nel merito, solo azzardare delle ipotesi: per quanto mi sia stato dato comprendere, dovrebbe essere una Boletaceae a carne virante (Boletus erythropus, B. fragrans, B. legaliae, B. rodhoxantus?).
Come si può notare, i funghi assumevano il nome degli ambienti ove si potevano trovare, come i pascoli e gli incolti, oppure della pianta presso la quale, nella maggioranza dei casi, crescevano, altrimenti per alcune peculiarità possedute dagli sporofori.
Esisteva poi una specie alquanto singolare, di cui oggi si conserva purtroppo solo il ricordo, essendo ormai quasi introvabile, ovvero la funcia di ficurini (fungo dei fichi d’India)

Il mistero dei funci di ficurini

Era il lontano 1997, quando l’indimenticabile amico, il compiantoDott. Tonino Pocorobba, ideatore e promotore del nostro originario sodalizio sociale, alla cui memoria poi è stato dedicato l’attuale Gruppo del quale faccio tuttora parte, mi chiese se sapessi niente circa i “funci di ficurini” (funghi dei fichi d’India). Non feci altro, che rispondere semplicemente alla domanda che mi aveva posto: Si, è il Pleurotus opuntiae.


Foto 5. Opuntia ficus-indica (Foto di Nino Giacalone)

Aggiunse, che sarebbe stato suo piacere vederne qualche esemplare per fotografarlo, esortandomi eventualmente, a redigerne un articolo. Mi poneva un bel problema. Sebbene ne conoscessi l’esistenza, non avevo mai avuto occasione di incontrarne alcuno, anche se ne avevo imparato a memoria i connotati cromo-morfologici (aiutato in questo da mia nonna, che me ne parlava come di una “funcia di panicauru tutta bianca, chi crisci ‘ncapu i pali di ficurini, ma però cù taddu chiù curtu e supra un latu”, cioè: un Pleurotus eryngii tutto bianco, che cresce sui cladodi del fico d’India, però con il gambo corto e laterale. Invero descrizione tanto sintetica, quanto sbalorditivamente precisa.
Iniziai a muovermi per attingere informazioni, sia parlandone a persone anziane che ai cercatori di Pleurotus delle ombrellifere. Tutti, mi ripetevano più o meno la stessa storia: “Una volta era più facile trovarli. I Fichi d‘India, prima, erano ovunque. Ma ora, di piante ve ne sono molte di meno, quindi...
Era vero. Un tempo i fichi d’India venivano piantumati dappertutto, per delimitare i confini dei terreni ad esempio, o per fare delle recinzioni invalicabili. Insomma, non vi era casa nelle nostre campagne, che non avesse il suo ficodindieto privato, per piccolo che potesse essere. A cui si ricorreva anche, per gustarne i dolcissimi frutti. Era ovvio, che con tutta questa abbondanza di “materia prima”, fosse relativamente più semplice reperirli.
Tuttavia, molti di quelli a cui chiedevo dei ragguagli sull’argomento, non appena ne accennavano la descrizione, mi lasciavano interdetto: i funci di ficurini che conoscevano loro, non erano affatto bianchi e neppure a forma di ventaglio (come altri mi raccontavano). Viceversa, per costoro, avevano grosso modo la forma di “funci di pagghia” (Volvariella gloiocephala), ma più piccoli. Erano, provvisti quindi di un cappello convesso ed un gambo centrale ben definito. Insomma, niente a che vedere con quello che cercavo. Non solo, ma me ne decantavano le lodi, asserendo che fossero gustosissimi.
Tonino Pocorobba nel frattempo, era purtroppo scomparso. Comunque, dopo almeno tre anni di infruttuose ricerche, una telefonata mi avvertiva che potevo fotografare questi benedetti “funci di ficurini”. Il posto non era distante da casa mia. Ci incontrammo sul luogo convenuto. Fui accompagnato dove era la pianta, ma non vidi traccia dei Pleurotus bianchi. Su un paio di cladodi (pale) semi marci, c’erano però dei funghetti dall’aspetto di Pluteus. Sempre più perplesso, chiesi al vecchietto che era presente, delle spiegazioni. Rispose che, fin da quando era bambino, gli avevano insegnato che i funci di ficurini fossero quelli che mi avevano mostrato. Tutto allora collimava, con quanto mi riferivano i diversi interlocutori ascoltati prima. Fu un’epifania. Il lavoro di tutti questi anni non era stato poi vano e aveva dato i suoi frutti. Infatti scavando a fondo, ero arrivato a fare una scoperta interessante. Finalmente ero in possesso di una conclusione certa: nell’Agro Ericino, con il termine vernacolare già ribadito, di funci di ficurini, erano note non una, ma ben due distinte specie fungine: il più volte citato Pleurotus opuntiae, di gran lunga più famoso, e poi questo funghetto. Una sorta di parente povero dall’aria anonima, che credetti fosse un Pluteus dalla sporata anomala (nel senso del colore).
Negli anni a seguire, tentai di acchiappare questa specie altrove, allo scopo di fare degli idonei accertamenti e cercare di capire cosa mai fosse, non essendo affatto persuaso che si trattasse davvero dei sospetti Pluteus. Inutilmente, visto che non ne fui capace. Così, cadde tutto nell’oblio.
Fino al novembre dello scorso anno. Quando all’ora di pranzo, un vicino di casa suonò alla mia porta, mostrando un contenitore colmo di funghi. Con la solita domanda: “Sono buoni da magiare? Li ho trovati in mezzo ai fichi d’India”. Rividi così, per puro caso, i parenti poveri e misconosciuti del Pleurotus opuntiae. Il posto dove erano stati raccolti, ne pullulava. Erano ovunque, sulla striscia di suolo nudo prospiciente il ficodindieto e sui trochi secchi della Cactaceae. Conclusi quindi con successo, lo studio di questo bellissimo quanto particolare taxon, attribuendogli finalmente un’identità .
Posso quindi affermare, che nella tradizione popolare dell’Agro Ericino, come avevo prima accennato, si conoscono come funci di ficurini due specie distinte, non assolutamente relazionabili fra loro per mezzo di qualsiasi legame Sistematico. Una è il Pleurotus opuntiae più volte menzionato, l’altra è la Psathyrella melanthina. oggetto del precedente contributo.


Foto 6. Psathyrella melanthina (Foto di Nino Mannina)

Sulla commestibilità di quest’ultima, non ci sono notizie ufficiali che ne possano suffragare con certezza l’innocuità. Comunque. dalle nostre parti, questi funghi sono sempre stati consumati, e tutti coloro i quali li hanno mangiati, mi hanno garantito che sono ottimi.
Tuttavia al fine di evitare problemi di sorta, credo si prudente rinunciare a provarli, potrebbero anche provocare, per fare un esempio (campato in aria, sia chiaro), intossicazioni da accumulo, per cui se ne sconsiglia caldamente l’uso in cucina.

Valderice lì 31.01.2013
Nino Mannina


Ringraziamenti
Ringrazio con tutto il cuore, il Presidente Nino, il Colonnello, Giacalone per aver curato l’impeccabile inserimento su questo sito, del presente articolo e per avermi gentilmente fornito la foto del fico d’India.
CORONNELLO; MA COMU AVISSI A FARI SENZA DI TIA



Copyright:
Il testo di questa monografia e le foto dei funghi appartengono all'autore: Nino Mannina. La foto 5 dell' Opuntia ficus-indica è di Nino Giacalone. E' vietato qualsiasi uso del testo e delle immagini inseriti in questa monografia senza l'autorizzazione esplicita degli interessati.



Riferimenti Bibliografici

Basso M. T. (2012): Manuale di Microscopia dei Funghi. Vol. 2. Libreria Mykoflora Villanova d’Albenga.

Bertault R. et Malençon G. (1970): Flore des champignons superieurs du Maroc. Tomo 1°. Università di Rabat. Faculte des sciences Rabat. Riéédition 2003.

Buda A. (2011): I funghi degli Iblei. Vol. 1. “Nuova Grafica” di A. Invernale.

Cetto B. (1993): I funghi dal vero. Vol. 6. 3ª Edizione. Arti grafiche Saturnia s.a.s..

Fouchier F. (1995): Le Genre Psathyrella (Fries) Quélet. Flores des espèces européennes et méditerranéennes. Fédération des Associations Mycologiques Méditerranéennes, Monpellier.

Kits Van Waveren (1985): The Dutch, French and British species of Psathyrella. Persoonia Supplement Volume 2. Rijksherbarium, Leida.

Moser M.(1993): Guida alla determinazione dei funghi. Vol. 1. Polyporales, Boletales Agaricales, Russulales. 3ª Edizione Italiana. Arti grafiche Saturnia s.a.s..

Musumeci Enzo (2006): La micoflora centroeuropea. I funghi dell’areale basilese. 2° contributo. B.G.M.B. di Trento anno XIX n. 1-3 Gennaio-Dicembre 2006.

Venturella G., Saitta A., Tamburello M., in collaborazione con il Gruppo Micologico Siciliano (2005): La biodiversità fungina della provincia di Palermo (Sicilia). Volume 1. Dati ecologici e distributivi. Officine tipografiche Aiello e Provenzano.


Nino Mannina 49 anni: si interessa di studi Micologici da circa un ventennio. Fin dagli inizi è stato allievo del Dott.Salvatore Sergio (il famosissimo Farmacista di Napola, che ci ha lasciato ormai da diversi mesi). E’ stato uno dei soci fondatori del Gruppo Micologico "G. Castronovo", dove Rivestiva la carica di Direttore del comitato scientifico, funzione che tuttora detiene nell’attuale Gruppo Micologico "Tonino Pocorobba", del quale è stato anche Presidente. Ha collaborato ufficialmente per molti anni, con la Rivista a diffusione nazionale Specializzata in Micologia diretta dal Dott. Roberto Galli, “I Funghi dove…quando” ottenendo la pubblicazione sia del Censimento sui funghi di Scorace, che di alcune specie fungine rare o poco conosciute e rinvenute nel trapanese (Tricholoma psammopus,Amanita lepiotoides, Russula odorata, Russula praetervisa,Agaricus bohusii) o non ancora segnalate per la micoflora siciliana (Russula monspeliensis, Russula subazurea). Attuale Direttore Scientifico del Gruppo, svolge anche il ruolo di docente per i corsi regionali tenuti dal Gruppo Micologico "Tonino Pocorobba", validi per il conseguimento del tesserino abilitante alla raccolta dei funghi spontanei nella Regione Sicilia. Scrive personalmente gli articoli di Micologia pubblicati sul sito del Gruppo stesso.